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AB IMIS | iolagemmainnestai

Anno / durata

2021, 45'

 

Concept / Drammaturgia / Performance                  

Stellario Di Blasi

Produzione                        

La Biennale di Venezia

Realizzazione allestimento scenico

Chiediscena, Filippo Iezzi

Maschera realizzata da

Roberta Traversa

Per la cura degli oggetti si ringrazia

Eleonora De Leo

Vincitore del bando

Biennale College Teatro - Performance Site Specific 2021

Photo credits

Courtesy La Biennale di Venezia - © Andrea Avezzù;

Courtesy © Roberta Traversa

Courtesy © Katarina Rothfjell

Video

Courtesy La Biennale di Venezia - © Lucio Fiorentino

Video editing

Stellario Di Blasi

Dei pescatori tirarono fuori dagli abissi una bottiglia.

Dentro c'era un pezzo di carta:

"AIUTATEMI!

L'OCEANO MI HA GETTATO SU UN'ISOLA DESERTA.

STO SULLA SPONDA E ASPETTO.

FATE PRESTO. SONO QUI".

Wislawa Szymborska

La grafia, la riconosco, è la mia;

AB IMIS è la risposta a quell'appello.

                                

I temi del Riciclo del Corpo, dell’Assenza, della Libertà (come spazio confinato e illimitato del corpo e della mente) si muovono con la consapevolezza di voler indagare ponendo la domanda: “Perché cancelliamo tutto quello che ci accade?”.

Perché ostinatamente non vogliamo spostarci dai segnali che il mondo ci consegna restando ancorati alle nostre risibili certezze?

 

La scintilla imprime la radiografia di una possibilità di fuggire dalla pelle, di viaggiare sui detriti – tra finzione e reale – per sviluppare impronte che ci connettano con il Tutto; riabbracciare la propria anima, riscoprendo il giardino e la pioggia che se neprende cura.
 

1| Abbattere la manipolazione, sugli altri e sull’immagine precostituita di noi, per accogliere la mutazione in ascolto; come una peonia primaverile, esplodere di gonfia bellezza
aprendosi alla luce fino a lacerare gli arti e il cuore, per poi lasciarsi andare consapevoli di aver vissuto.

 

2| Decomporre l’azione alla luce di Artaud, Pessoa, mia madre, Michelangelo, il mare della Sicilia ed Emily Dickinson, complici di un mai esaustivo thè danzante;

collezionare cerchi nell’acqua e conchiglie sulla spiaggia della coscienza attraverso le quali prendere il largo.

 

Decolla, così, l’elaborazione di un nuovo pigmento: un dispositivo simbolico identitario dentro il quale riconoscersi: un colore in grado di guardare indietro e avanti;

il mio personale Blue Giano.

Uno strumento magico che serbi i connotati classici e, in egual misura, l’assenza di gravità di una futura rinascita.

In un percorso spaziale che assuma il significato di un rituale di espiazione, contraddistinto da simboli geometrici – una distesa inscatolata di volumi vuoti – il conflitto tra natura e artificio posto in essere da Pino Pascali si addiziona ora all’assenza dell’acqua trasformandosi in sinonimo di oscurità dell’anima, di speranze fuggite che necessitano di appigli; di un’isola dei morti alla Böcklin, ghiacciata e brumosa, i cui perimetri sono i nostri feticci di consumo.

 

Le tessere modulari, milioni di anime che cercano respiro nella scacchiera dell’esistenza in cui ci recludiamo, producono stupore solo quando nel rinnovare – dalle più profonde fondamenta – edifichino un assemblaggio di facoltà immaginative condiviso.

 

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